sabato 20 agosto 2016

La Rosalia alpina a Cappadocia (AQ)


La Rosalia alpina, o Cerambice del faggio, è un coleottero xilofago (cioé un organismo che si nutre prevalentemente di legno) della famiglia dei Cerambycidae, le cui dimensioni sono notevoli in quanto può raggiungere circa 40 mm di lunghezza. E' una specie rara e vulnerabile, che vive nelle regioni montane e boscose con presenza di faggete mature e con ampia disponibilità di legname morto e marcescente. La progressiva distruzione dei suoi habitat ha reso questo coleottero molto vulnerabile e raro, ragion per cui la sua presenza può arrivare a giustificare l'istituzione di un SIC (Sito di Interesse Comunitario).
Il mio primo avvistamento di Rosalia alpina a Cappadocia (AQ), avvenuto nei pressi della località Pozzacchi, è del 21 luglio 2016. Alcuni giorni dopo, precisamente il 27 luglio 2016, sono tornato di nuovo nello stesso punto e ho trovato ben due esemplari di Rosalia alpina. 
Entrambi gli avvistamenti li ho segnalati nel portale LifeMIPP, che raccoglie le segnalazioni di Rosalia alpina e altri insetti rari provenienti da tutta Italia. Il progetto MIPP (Monitoring of insects with public partecipation) è un progetto del Corpo Forestale dello Stato, cofinanziato dalla Commissione Europea nell'ambito del programma LIFE+ (LIFE11 NAT/IT/000252). L'obiettivo principale del progetto MIPP è quello di sviluppare e testare metodi per il monitoraggio di alcune specie di coleotteri presenti negli allegati II e IV della Direttiva Habitat (Osmoderma eremita, Lucanus cervus, Cerambyx cerdo, Rosalia alpina, Morimus funereus).

A seguire i video della Rosalia alpina che ho realizzato il 21 e il 27 luglio 2016:





giovedì 18 agosto 2016

Per le vie del borgo

Domenica 7 agosto 2016 si è svolta la manifestazione intitolata "Per le vie del borgo", organizzata dalla Pro Loco. Lungo i vicoli del paese, anche quest'anno, sono stati rappresentati gli antichi mestieri di Cappadocia, svolti per secoli dai suoi abitanti.

A seguire le foto della manifestazione, scattate da Alessandro Fiorillo:































































martedì 16 agosto 2016

Le ricchezze naturalistiche del versante abruzzese dei Monti Simbruini

Falco pecchiaiolo
Di Alessandro Fiorillo

Un'area ricca di specie faunistiche rare è quella relativa al versante abruzzese dei Monti Simbruini, ossia la porzione di territorio montano che si trova ad est del Fosso Fioio, lungo canale che fu confine tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio fino alla proclamazione del Regno d'Italia (1), e che oggi separa le regioni del Lazio e dell'Abruzzo. Quest'area, nota anche come Monti Carseolani, ospita numerose specie di fauna selvatica, alcune delle quali particolarmente protette e persino endemiche di questo territorio (e parte di quello limitrofo). È il caso ad esempio del Picchio dalmatino ssp lilfordi, che vive nelle fitte faggete del Lazio e dell'Abruzzo, con qualche sporadica segnalazione che lo vuole presente anche in Puglia. Si tratta di un grosso picchio che ho avuto modo di osservare la prima volta nel 2014, lungo la mulattiera che da Cappadocia porta in località Pizzicapianta. Da allora sono riuscito ad osservarlo altre tre volte, nello stesso luogo del primo avvistamento ma anche nel versante laziale dei Simbruini, non lontano da Monte Tarino (1) e infine di nuovo in Abruzzo lungo il sentiero che sale verso Grotta Cola, sul Monte Arunzo (2). Questo picchio molto raro, che abbiamo la fortuna di poter osservare nelle nostre faggete, oltre ad essere un importante indicatore biologico è una specie protetta dalla Direttiva Uccelli dell'Unione europea, è pertanto molto importante tutelarne l'habitat, rappresentato appunto dai nostri fitti boschi di faggio. Restando nell'ambito dell'avifauna un'altra specie particolarmente protetta che nidifica sui nostri monti è il Grifone, reintrodotto negli anni 90 dal Corpo Forestale dello Stato sul Monte Velino, insieme al Corvo imperiale, quest'ultimo tra gli animali più intelligenti del pianeta.
Grifone
Una parte della popolazione dei grifoni reintrodotti sul Velino ha deciso di nidificare sulle falesie del Monte Arunzo e del Monte Arezzo, oggi Siti di Interesse Comunitario della Rete Natura 2000. Seguo e monitoro la colonia dei grifoni del Monte Arunzo dal 2003, e negli anni ho notato alcune significative fluttuazioni numeriche relative agli esemplari di questa popolazione. Infatti nel 2005 arrivai a contare fino a trenta esemplari in volo sull'Arunzo, poi nel corso degli anni alcuni esemplari si sono progressivamente spostati sul vicino Monte Arezzo, sulle falesie che sovrastano l'abitato di Castellafiume (3). Nel 2007 purtroppo ci fu un grave caso di avvelenamento che provocò la morte di ventiquattro grifoni, le cui carcasse furono recuperate in varie zone della Marsica. Il fenomeno dell'avvelenamento delle carcasse di bestiame morto, perpetrato da allevatori senza scrupoli che intendono colpire predatori quali il Lupo, finiscono per danneggiare soprattutto questi splendidi avvoltoi, la cui apertura alare supera i due metri e la cui utilità ecologica è particolarmente importante in quanto, da veri e propri spazzini della montagna, si cibano solo di animali morti impedendo alle loro carcasse di diventare veicolo di infezione per gli animali domestici e la fauna selvatica. Tra le altre specie di avifauna presenti in questo territorio, oltre ai gheppi, i falchi pellegrini, gli sparvieri e le poiane, abbiamo anche i falchi pecchiaioli, bei rapaci migratori un tempo perseguitati soprattutto in Calabria (4), che hanno scelto anche questa nostra porzione di Appennino per nidificare (5). Tra gli uccelli più piccoli abbiamo anche lo Zigolo muciatto, il Culbianco, il Fanello, la Tottavilla, il Prispolone, l'Allodola, il Picchio muratore, la Cincia bigia, la Cincia mora e numerosi altri. Tra i corvidi è molto comune la Ghiandaia, oltre alla Cornacchia grigia, la Gazza e il già citato Corvo imperiale, il più grande uccello dell'ordine dei passeriformi. Tra i rapaci notturni abbiamo il Gufo comune, il Barbagianni, la Civetta e da oltre dieci anni monitoro un sito di nidificazione dell'Allocco, sito nel territorio di Cappadocia. Probabile anche la presenza del Gufo reale. Per quanto concerne i mammiferi, nota è la presenza del Lupo, di cui ho avuto modo di osservare e documentare fotograficamente orme e "fatte" (6). Presenti anche i mustelidi come le faine, martore, puzzole, donnole e tassi e gli ungulati come i cervi, caprioli e cinghiali. Abbastanza numerose le lepri, che ho avuto modo di osservare in più occasioni e in luoghi diversi. Di tanto in tanto viene segnalato qualche esemplare di Orso marsicano (7), l'animale più tipico di queste terre e un tempo molto diffuso anche nella zona dell'Alta Valle del Liri e nei boschi di Cappadocia, Castellafiume e Camporotondo. Molto comuni le volpi, che talvolta si spingono fin nei centri abitati. Tra i roditori abbiamo gli scoiattoli, i ghiri e varie specie di topi selvatici, del genere Apodemus.
Rosalia alpina, fotografata il 21 luglio 2016
Molto comuni anche le talpe. Tra i rettili abbiamo la Vipera dell’Orsini e vari altri serpenti innocui. Presenti anche alcune specie di tritoni nelle acque dei fontanili di montagna, utilizzati dal bestiame domestico per abbeverarsi. Per concludere, il 21 e il 25 luglio ho osservato e fotografato due bellissimi esemplari di Rosalia alpina, posati sul tronco morto di un faggio che si trova in località Pozzacchi, tra Cappadocia e Camporotondo (8). La Rosalia alpina o Cerambice del faggio, forse l'insetto più bello in assoluto, è una specie prioritaria in Direttiva Habitat, la cui presenza giustifica l'istituzione di un SIC (Sito di Interesse Comunitario).
Il versante abruzzese dei Monti Simbruini, come del resto anche quello laziale, è un territorio particolarmente ricco di biodiversità e di specie rare e protette. Sta a noi custodire questa ricchezza naturalistica, che è importante tutelare ma anche far conoscere, affinché tutti siano consapevoli di quanta bellezza abbiamo intorno e di quanto sia importante conservarla intatta per le generazioni future, anche nell'ottica di uno sviluppo economico del territorio legato ad un turismo ecologico e sostenibile, seguendo l'esempio virtuoso di quei paesi del Parco Nazionale d'Abruzzo che in tempi relativamente recenti hanno invertito il processo di spopolamento del territorio proprio grazie ad una valorizzazione consapevole delle proprie risorse naturalistiche.


NOTE:

1 – Il 7 agosto 2016.

2 – L'8 agosto 2016.

3 – Se nell'agosto del 2005 osservai circa trenta esemplari di grifoni in volo sopra il Monte Arunzo, nel mese di agosto del 2014 ho contato un massimo di sette esemplari posati sulle falesie dello stesso monte, nell'agosto 2015 undici e in quello del 2016 otto. Tutti gli avvistamenti che ho effettuato, con relative date e numero di esemplari osservati, l'ho inseriti nel database del portale internet ornitho.it, cui tutti si possono iscrivere per segnalare le proprie osservazioni, di qualsiasi specie ornitica. Gli ornitologi di professione, grazie alle segnalazioni di birdwatcher, citizen scientist ed osservatori della natura, utilizzano i dati inseriti nel portale per elaborare i propri studi e supportare le proprie ricerche.

4 – Per un'assurda credenza locale secondo cui sparare all'"adorno" (così viene chiamato il Falco pecchiaiolo in questa regione) serve a conservare la virilità. Fortunatamente questa pratica triste e criminale (tutti i rapaci sono rigorosamente protetti) è da tempo in declino, sebbene non del tutto debellata, grazie soprattutto ai campi di vigilanza effettuati dai volontari della Lipu e di altre associazioni ambientaliste, nonché dagli agenti del Corpo Forestale dello Stato.

5 – Ne ho osservati due splendidi esemplari a distanza ravvicinata nel luglio 2015, uno dei quali stringeva un piccolo rettile tra gli artigli, forse un ramarro. Nel luglio 2016 ne ho osservati quattro esemplari, non distanti dal punto dove l'avevo osservati l'anno precedente.

6 – Gli escrementi.

7 – L'ultimo avvistamento è del 25 aprile 2016, in prossimità del centro abitato di Capistrello.

8 – Nei giorni successivi, anche a seguito delle mie segnalazioni inserite nel portale lifemipp.eu, alcuni naturalisti hanno iniziato a cercare la Rosalia alpina anche nelle faggete del versante laziale dei Monti Simbruini, ed il 7 agosto un esemplare è stato trovato sul tronco di un faggio morto nel territorio compreso tra Subiaco, Jenne e Vallepietra. La presenza di quest’ultimo esemplare è stata registrata anche dall'ufficio naturalistico del Parco Regionale dei Monti Simbruini.

venerdì 29 aprile 2016

L'orso marsicano torna a frequentare i nostri monti

Di Alessandro Fiorillo

Ha suscitato sorpresa e meraviglia l'avvistamento, alcuni giorni fa, di un giovane esemplare di Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus) a Capistrello (AQ). L'orso è stato anche filmato con un cellulare ed il video è finito in rete sui social network e in numerose testate online, condiviso da tantissimi utenti della rete.
In realtà l'orso è una presenza costante sui nostri monti, fin dalle epoche più remote, come testimoniano i numerosi ritrovamenti di resti di Ursus spelaeus all'interno di Grotta Cola e della Grotta di Beatrice Cenci. L'orso delle caverne, come ho scritto in un recente articolo pubblicato in occasione dell'identificazione di alcuni suoi resti rinvenuti dentro Grotta Cola, si estinse nel corso dell'ultima glaciazione del Pleistocene, tra i 24000 e i 10000 anni fa, sostituito dall'orso bruno europeo (Ursus arctos).  
Territorio dove vive l'Orso bruno marsicano
Ma proprio nel nostro territorio, nella subregione abruzzese della Marsica, si è evoluta una sottospecie, l'Ursus arctos marsicanus, che fino a qualche secolo fa era diffusa in buona parte dell'Appennino centro-meridionale, dalla Calabria alle Marche. Purtroppo ad oggi restano soltanto poche decine di esemplari (le ultime stime parlano di un numero di esemplari compreso tra 30 e 50) di questo splendido orso, fortemente minacciato di estinzione. L'Orso bruno marsicano ha dimensioni più piccole rispetto all'Orso bruno europeo, ha un'indole molto tranquilla, e preferisce muoversi soprattutto di notte. E' onnivoro, si ciba soprattutto di vegetali ma anche di piccoli animali, sia vertebrati che invertebrati.
La presenza dell'orso marsicano sulle nostre montagne è tutt'altro che una novità. Già nel 2013 un giovane esemplare era stato avvistato in più di un occasione sui Monti Ernici e sui Simbruini. Purtroppo quell'orso morì poi investito nei pressi dell'autostrada all'altezza di Tornimparte (i maschi di orso bruno marsicano compiono frequenti spostamenti, a volte anche di centinaia di chilometri. Le femmine invece tendono a restare nel luogo dove nascono). Ma testimonianze della presenza dell'orso ricorrono in diverse fonti, o riemergono dalla memoria di chi un tempo frequentava stabilmente queste montagne. Ad esempio nella Relazione Sipari (1), pubblicata nel 1926 da Erminio Sipari, è citato letteralmente: "A Cappadocia (prov. de L'Aquila) è ancora vivo un carbonaio il quale aveva abituato per lunghi anni un grosso orso, che viveva come lui in quei folti boschi, ad accorrere al suo richiamo, e che spesso era compensato da un pò di cibo". 
Altri riferimenti all'orso presente sulle nostre montagne, emergono dalle memorie di cittadini locali od originari del posto, come quella riportata nel gruppo facebook "Capistrello il mio paesello", dove leggiamo che "Il signor Natalino Cannucciari, l’ultimo dei sette figli di Giuseppe che abita ad Anzio, mi ha riferito che suo padre negli anni ’20, mentre faceva il carbone sulla Renga, aveva avuto modo di vedere l’orso".
L'orso marsicano era quindi, fino a qualche decennio fa, una presenza nota e documentata sulle nostre montagne, del resto ci troviamo nella Marsica occidentale, nel pieno dell'areale dove tempo si costituì il nucleo originario da cui poi le popolazioni di orso bruno marsicano riuscirono ad irradiarsi fino alla Calabria a sud, e alle Marche a nord. Il ritorno dell'orso è importante non soltanto per la sua sopravvivenza (la minaccia di estinzione, per questo splendido plantigrado, è tutt'altro che scongiurata, e l'espansione del suo areale può contribuire a ridurre il rischio della sua scomparsa), ma rappresenta un motivo di orgoglio per le popolazioni locali, le quali possono annoverare nella già ricca fauna selvatica del proprio territorio anche questo splendido animale, un “antico” figlio di queste terre, quello che più di tutti le rappresenta, nel cui nome scientifico Ursus arctos marsicanus c’è il riferimento diretto ad esse.
Proprio per questo motivo è importante che tutti si impegnino per favorire la presenza dell'orso, per ridurre al minimo i motivi di conflitto, e per impedire che vengano a crearsi situazioni di potenziale pericolo per l'incolumità di queste creature, in particolare lungo le strade (purtroppo sono ancora troppi gli esemplari di orso, tra i quali i cuccioli, che muoiono investiti). Qualora dovesse capitare di incontrare un orso sulla propria strada, è bene seguire delle norme di comportamento che evitino il crearsi di situazioni di pericolo, sia per l'orso che per le persone (a tal proposito è bene sottolineare che bisogna evitare di avvicinarsi troppo, di inseguire gli orsi con le macchine inducendoli a fuggire via sulle strade mettendone quindi a rischio l'incolumità, è bene evitare di cercare di scattare foto o fare filmati ad ogni costo). Sempre in caso di avvistamenti è bene avvisare il Corpo Forestale dello Stato chiamando il 1515, così che gli agenti possano poi operare sul posto per azioni di controllo e monitoraggio. 
Concludo l'articolo lasciando anche alcuni link dove si possono trovare informazioni utili sull'orso bruno marsicano, una splendida creatura che abbiamo il dovere di proteggere, anche perché rappresenta l'occasione per favorire lo sviluppo di un turismo ecologico e sostenibile:





NOTE:

1 - Si tratta della relazione scritta da Erminio Sipari, naturalista e politico italiano, artefice e primo presidente del Parco Nazionale d'Abruzzo. Il titolo originale dell'opera è Relazione del Presidente del Direttorio provvisorio dell'Ente autonomo del Parco nazionale d'Abruzzo alla Commissione amministratrice dell'Ente stesso, nominata con Regio Decreto 25 marzo 1923.

domenica 24 aprile 2016

Possibili resti di Ursus spelaeus rinvenuti di recente a Grotta Cola

Di Alessandro Fiorillo

Nella seconda metà del XIX secolo furono condotti degli scavi dentro Grotta Cola che portarono al rinvenimento di crani e ossa dell’Ursus spelaeus, un orso preistorico che si estinse durante l’ultima glaciazione del Pleistocene, in un periodo compreso tra circa 24000 anni fa e 10000 anni fa (1). Questi scavi furono condotti dal famoso antropologo Giustiniano Nicolucci, il quale nel 1877 pubblicò i risultati dei suoi studi nel testo La Grotta Cola presso Petrella di Cappadocia. 



L’ORSO DELLE CAVERNE (URSUS SPELAEUS)

L’orso delle caverne visse esclusivamente in Europa, a partire dalla glaciazione Riss (270000 anni fa) per scomparire nel corso o verso la fine della glaciazione Würm, sostituito dall'orso bruno europeo. Le sue ossa sono state rinvenute, numerose, all’interno di molte grotte dell’Europa centrale, in particolare in Romania, Austria, Francia, Germania, Regno Unito ma anche in Italia. Nel nostro paese resti dell’Ursus spelaeus sono stati trovati nelle grotte di Lombardia, Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umbria e, come abbiamo visto, anche in Abruzzo.
L'orso delle caverne era più grande sia dell’odierno orso bruno europeo (Ursus arctos) che del grizzly (Ursus arctos horribilis), è pertanto il più grande orso vissuto sulla Terra, paragonabile per dimensioni all'attuale orso gigante dell'Alaska (Ursus arctos middendorffi). Se pensiamo alla sua massa muscolare, allo spesso strato di grasso e alla folta pelliccia che lo ricopriva, possiamo farci un’idea di quanto il suo aspetto fosse veramente imponente. Era un animale plantigrado, lungo fino a 3 metri, alto al garrese 1.40 m, e il suo peso poteva superare gli 800 kg. Aveva il cranio allungato, con fronte alta e una specie di cresta. Non era carnivoro ma prevalentemente erbivoro (2), nonostante possedesse enormi canini. Il dente ferino perse infatti la sua forma tagliente, i premolari erano ridotti e i grossi molari appiattiti erano muniti di molti tubercoli, che fornivano un'ampia superficie masticatoria. La sensibile usura di tutti i denti degli esemplari adulti rinvenuti, dimostra che erano impegnati in una continua masticazione. Gli orsi delle caverne soffrivano anche di numerose malattie tra le quali l'artrite, la spondilosi e la periostite probabilmente, oltre che per ragioni climatiche, anche a causa di una dieta erbivora carente di una vasta gamma di elementi nutritivi (3).
Nonostante fosse molto diffuso, si ritiene che la sua scomparsa sia stata causata oltre che dal clima rigido della glaciazione, che spinse quest’orso sempre più a sud (4) e provocò significativi cambiamenti nel mondo vegetale, anche dalle numerose malattie (soprattutto ai denti) e dalla competizione con l’uomo.
La maggior parte delle ossa dell’Ursus spelaeus è stata rinvenuta all’interno delle grotte, nelle zone più profonde, dove andava a rifugiarsi durante il letargo, il periodo per lui più critico. Infatti durante l’inverno si nutriva con le riserve di grasso accumulato, ma una volta terminate queste riserve di grasso poteva soccombere con una certa facilità. Ed è proprio per questo motivo che gli studiosi ritengono che i reperti trovati nelle grotte siano i resti di individui morti durante l'inverno. Il che capitava, in particolare, oltre che per i giovani inesperti o le femmine gravide, soprattutto per orsi adulti ed anziani, che durante le stagioni che precedono il letargo non erano riusciti a nutrirsi a sufficienza, spesso per cause dovute ai già citati problemi legati all’usura o alle malattie dei denti (5).



LA GROTTA COLA E I RECENTI RITROVAMENTI

Nel corso dell’estate del 2004 il sottoscritto insieme ad altri giovani ricercatori ed appassionati di storia e natura, riuniti nell’Associazione Culturale Nuovo Mondo (6), effettuammo alcune ricognizioni archeologiche nel territorio di Cappadocia e dintorni (7). Fu proprio nel corso di una di queste ricognizioni, nello specifico quella dedicata all’esplorazione di Grotta Cola, che del tutto casualmente e a livello superficiale rinvenimmo (8) alcuni frammenti ossei nel punto più profondo della grotta, cioè in quello più lontano rispetto all’ingresso della stessa. Incuriositi dal ritrovamento e soprattutto per impedire che questi reperti venissero trafugati o spostati, il 12 settembre e successivamente il 10 e l’11 ottobre 2004 tornammo nella grotta per prelevare questi reperti e per studiarli meglio. Con l’occasione venne con noi anche un’archeologa di professione (9). Successivamente al ritrovamento ipotizzammo che la loro presenza nel sito fosse legata ad antichi riti sacrificali che si svolgevano nelle cosiddette “grotte santuario”, pensammo così che anche Grotta Cola potesse aver avuto questa funzione in una qualche epoca più o meno lontana (10).
Ma studiando più attentamente i reperti ossei, che appaiono ben fossilizzati ed antichi, siamo giunti alla considerazione che probabilmente gli stessi appartengono ad un esemplare di Ursus spelaeus. In particolare sono due frammenti di mascella con denti, questi ultimi piuttosto grandi, che ci hanno spinto verso questa conclusione. Altri frammenti ossei si trovano all’interno di uno strato di roccia, probabilmente di natura calcarea, dello spessore che in alcuni punti supera i 2 centimetri.
Se consideriamo che all’interno di Grotta Cola sono stati già rinvenuti i resti di orso delle caverne all’epoca degli scavi condotti dal Nicolucci e se teniamo conto del fatto che i frammenti che abbiamo rinvenuto nel 2004 si trovavano nella parte più profonda della grotta, cioè dove, con tutta probabilità, migliaia di anni fa un plantigrado si ritirò con la speranza di superare indenne l’inverno glaciale, ecco che sono tutt’altro che remote le possibilità che i frammenti in nostro possesso appartengano ad un altro esemplare di Ursus spelaeus.



CONCLUSIONI

I frammenti, ancora oggi conservati dall’associazione culturale, sono a disposizione di coloro che vorranno studiarli in maniera più approfondita, per arrivare ad una loro identificazione certa e ad una datazione precisa. Nel caso, pur trattandosi di pochi frammenti (11), siamo disponibili a donarli a musei locali, presenti o da istituire nel territorio.

 

NOTE:

1 - Scorrendo le varie fonti, non è molto chiaro il periodo preciso in cui è avvenuta l’estinzione dell’orso delle caverne. Secondo alcuni questa è avvenuta 24000 anni fa, altri parlano di 15000/10000 anni fa.

2 - Caratteristica che ricorda proprio il nostro Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus).

3 - Un'altra malattia tipica degli erbivori è la attinomicosi, dovuta all' Actinomyces, un batterio che provoca la suppurazione delle mascelle e la caduta dei denti.

4 - Gli orsi delle caverne, durante la loro fase di declino, per ripararsi dal freddo sono emigrati dall’Europa settentrionale verso quella meridionale e nelle aree mediterranee. Essendo infatti il suo habitat costituito dalla foresta, man mano che i ghiacci andavano estendendosi fu costretto a migrare verso sud.

5 - Sono stati rinvenuti frammenti di mascelle di orso delle caverne con denti mancanti a causa di malattie che ne provocarono la caduta o con denti cariati, che non consentivano al plantigrado di alimentarsi a sufficienza per superare l’inverno.

6 - Costituita nel 2004, l’associazione si occupa di ricerca storica e naturalistica, escursionismo ed eventi di natura culturale.

7 - In particolare esplorammo alcuni resti presumibilmente d’epoca romana che si trovano nei pressi del fiume Liri, non lontano dalle sorgenti. Ci recammo anche a Morbano, per ulteriori indagini su ciò che resta di questo paese, spopolatosi probabilmente nel XVI secolo.

8 - Autori del ritrovamento, durante la prima ricognizione della grotta, furono il sottoscritto Alessandro Fiorillo, Daniele Santarelli e Stefano Tocci. Alle ulteriori e successive indagini di studio hanno partecipato anche Sonia Grigatti, Francesca Di Stefano, l’ing. Valter Cosciotti e l’archeologa Micaela Merlino.

9 - Considerando la frequentazione assidua del sito da parte di escursionisti vari, non sempre rispettosi del delicato ambiente della grotta, il nostro timore era quello che questi reperti potessero essere trafugati e dispersi, impedendone così uno studio più attento. Non possiamo neanche escludere che il loro ritrovamento ad un livello superficiale sia legato a scavi clandestini effettuati sul posto, in epoca ignota. Dalla data del prelevamento questi reperti sono conservati dall’associazione e sono a disposizione di coloro che vorranno studiarli in maniera più approfondita. Sarebbero utili delle ricerche per giungere ad una datazione il più possibile precisa dei frammenti ossei conservati.

10 - Vedi A. Fiorillo, La grotta Cola di Cappadocia, in Aequa, (VII) 22, luglio 2005, pp. 21-24 e A. Fiorillo, Indagini archeologiche nel territorio di Cappadocia, in Aequa, (VII) 20, gennaio 2005, pp. 9-11.

11 - E’ probabile che altri resti e frammenti ossei siano ancora sotterrati nel punto dove, a livello superficiale, rinvenimmo i resti oggi in nostro possesso.


Si ringrazia Paolo Marenzi per le utili informazioni fornite.


BIBLIOGRAFIA:

http://www.gmpe.it/content/lorso-delle-caverne [23.04.2016]

http://www.speleolessinia.it/orso-speleo [23.04.2016]


Seguono le foto dei reperti ossei rinvenuti e raccolti:


Ingresso di Grotta Cola, 12 settembre 2004.