Estate 1958; a Petrella Liri si stava
realizzando la palazzina a fianco ai locali di Scrocchino. La squadra di operai
era romana. A quel tempo non vi erano punti di ristoro in paese; l’unico posto,
dove era possibile consumare un pasto, grazie alla disponibilità di Filomena,
era l’osteria di Quintino.
Qui faceva capo, a fine giornata, la squadra
per cenare. Ricordo che avevano con loro un registratore Geloso, uno dei primi
che si vedevano in giro. Filomena, moglie di Quintino, sapendo che io avevo una
bella voce, mi chiese di cantare qualcosa, per sentire la registrazione e
provare l’emozione di riascoltarla; nessuno, in paese, aveva mai riascoltato
una voce registrata dal vivo. La curiosità era tantissima; mi schernii un pò,
ma non mi feci pregare; presi il microfono e cantai una delle canzoni
dell’ultimo festival della canzone napoletana, presentata da Aurelio Fierro: a
Sunnambula.
Quella sera socializzai col gruppo,
soprattutto con due giovani che lavoravano come pittori e che avevano preso una
stanza da Quintino: Sergio e Guglielmo. Venivano da una zona dove abitavo
anch’io: Torpignattara. Guglielmo aveva un Maggiolino celeste, col quale si
muovevano. Sergio aveva un bel giradischi con molti 33 giri, con della musica
bellissima (Frank Sinatra, Nat Kink Cole, I Platters, ecc…); noi eravamo ancora
ai 78 giri. Con quella musica, alla sera, ballavamo e la piazzetta si animava.
Loro due non ballavano mai con le nostre ragazze, ma ogni tanto li ammiravamo,
con un pizzico di invidia, mentre si esibivano, tra loro, nel tango figurato.
Sergio era estroverso e sempre sorridente; era imbattibile a braccio di ferro. Diceva che a chi usa tutto il giorno la pennellessa gli si fortifica il braccio.
Sergio era estroverso e sempre sorridente; era imbattibile a braccio di ferro. Diceva che a chi usa tutto il giorno la pennellessa gli si fortifica il braccio.
Un giorno mi mostrò, molto preoccupato, un
articolo sul Messaggero, nel quale veniva riportato un incidente stradale nel
quale, senza gravi conseguenze, era coinvolto suo fratello Franco, più giovane
di lui; un ragazzo piuttosto difficile, diceva lui, che aveva provato anche il
riformatorio e che procurava diversi grattacapi al padre.
Quintino e Filomena approfittarono della
professionalità di quei ragazzi per ridipingere tutta la casa. In quella
occasione, venne a lavorarci anche Franco; un bel ragazzo, alto, magro,
piuttosto riservato e dall’espressione un pò assente, quasi triste. La “Sora
Filomena” li trattava, ormai, come due figliocci.
Finita l’estate ed il lavoro, li rincontrai,
un paio di volte, dalle parti di Acqua Bullicante. La seconda volta che
incontrai Sergio, gli chiesi come andava il lavoro e lui mi disse che stavano
lavorando nel cinema, senza scendere in particolari. Io immaginavo che
collaborassero per le scenografie. Da allora li persi di vista, ritrovandoli
sulle pagine dei giornali che parlavano del film di Pasolini, Accattone. Dalle
foto riconobbi Franco Citti e capii finalmente che cosa intendeva dire Sergio;
lui era diventato aiuto regista di Pasolini, mentre Franco , classico ragazzo
di borgata, era il protagonista.
Gerardo Rosci.
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