NATO IL 19 GIUGNO 1853
MISSIONARIO IN TERRA
SANTA, UCCISO PER LA FEDE A MUGIUK-DERESI (ARMENIA MINORE)
IL 22 NOVEMBRE 1895
Padre Salvatore Lilli nacque a Cappadocia, (paese
di montagna a 1100 metri di altezza che alla fine
del 1800 contava 3.800 abitanti circa), in provincia dell’Aquila, il 19
giugno del 1853, ( da Vincenzo Lilli di Salvatore morto il 23 novembre
1874, a 61 anni ) e ( da Annunziata Lilli di Benedetto morta il 12
luglio 1886, a 72 anni ). La sua era una
famiglia molto religiosa infatti sua madre che era piccola di statura, veniva
chiamata (ciuchetta la santarella).
Era il sesto e l’ultimo dei figli, fu battezzato nella chiesa di San Biagio il
giorno stesso della nascita. Ogni anno il piccolo Salvatore a
cavalcioni su di un cavallo, dietro suo papà, ai
primi di aprile varcava i monti
Simbruini per scendere verso la pianura romana
dove la famiglia svolgeva la propria attività, ivi sostava sino a novembre,
quando faceva il viaggio a ritroso. Nello scendere i monti o nel risalire
verso il paese nativo, era d’obbligo una sosta al santuario della SS. Trinità
di Vallepietra. I suoi fratelli si chiamavano
Severino, Giovanni e Attilio; le sorelle Maria Pia
e Caterina . La sorella
Maria Pia primogenita, si fece sposa di
Gesù tra le suore Trinitarie esistenti in
Cappadocia, ritenendo il nome di Suor
Maria Pia; Al piccolo Salvatore piaceva molto
cavalcare e ben volentieri scorazzava per i prati lanciando a corsa sfrenata
la sua giumenta; molto spesso aiutava i fratelli a trasportare legna e carbone
dal bosco al deposito in paese. Ma un giorno, mentre il fratello
Severino preparava i cavalli per la trebbiatura ( la trita ) nei paesi
della Marsica, quando andò a chiamarlo per la
partenza, si sentì rispondere: << partite pure caro fratello io non posso
seguirvi perché debbo studiare per farmi
religioso>>. Salvatore segui l’esempio della sorella, e ai
primi di luglio del 1870, il giovane si presentò al P.
Provinciale di S. Francesco a Ripa a
Trastevere in Roma per entrare nell’Ordine Francescano. Partì
alla volta del convento di Nazzano
di Roma, dove fece il noviziato. Vestì l’abito di
S. Francesco il 22 luglio 1870 e ne professò la S. Regola il 6 agosto 1871,
promettendo di ‘’ osservare la regola di S. Francesco, vivendo in povertà,
obbedienza e castità.’’ Il nostro novizio-chierico verso la fine
di agosto del 1871, giunge a
Castelgandolfo e poco dopo inizia il corso filosofico. Alla fine del
1872 per non interrompere gli studi ed arrivare al sacerdozio cui aspirava con
tutto l’ardore del suo cuore, senza presentarsi al distretto dell’Aquila per
il servizio militare, fece domanda di recarsi in Terra Santa e dopo aver
salutato i suoi a Nettuno, partì per i Luoghi Santi della Palestina. ‘’ 23
gennaio 1873: Partono da questo convento S.Francesco
a Ripa e si recano a Gerusalemme i chierici fr.Salvatore
da Cappadocia e fr.
Gaspare da Collepardo; fr.
Agapito da Palestrina laico, li accompagna a
Venezia. Dopo un viaggio durato più di un mese raggiungono
finalmente Giaffa e dopo Gerusalemme. Da
quì si trasferisce a Betlemme per la ripresa degli
studi, comprese le lingue l’arabo, il turco e
l’armeno. Il 13 giugno 1877 i religiosi festeggiarono il 50° anno di
sacerdozio di P.Lucio Zorgos;
per quella ricorrenza fr. Salvatore compose una
bella poesia ("Tarantella") che recitò in pubblico ricevendo complimenti e
applausi:
Oggi che Lucio si rinnovella,
Che gl’incorona la bianca testa
vorrei
fare n’a tarantella, e tutto quanto lo tiene in festa.
e
perché è membro del Discretorio In questo giorno
il suo bel viso
volea dirla in refettorio; sembra un angelo
di paradiso;
stante
il silenzio ivi per segno, Della vecchiaia il grave peso
mi
parve strano questo disegno. Pare non sente che è tutto inteso,
Ma nel divano che regna il
brio, a dare sfogo al cuore ardente
è
loco adatto pel mio desio. Quale da gioia rapir si sente.
E perciò presto la mano
all’ opra Già lo dimostra al superiore
pongo
ridente, e si discopra, e a Secondo Procuratore.
del
core mio il gran contento quindi al Padrino e gli assistenti
pel
sommo gaudio pel grato evento che il servirono très
bien contenti
che
in questo giorno al Padre Santo ai sacerdoti de sto divano
riempie
l’alma e allegra tanto che lo additano per lor
decano.
son dieci lustri che fra l’incerto Più che
fratelli ed io a cantare la
corre giulivo a torre il serto.
Tarantella.
Il 19 settembre 1876 ricevette l’Ordine del Suddiaconato e il 18
settembre del 1877 l’ Ordine del Diaconato.
Finalmente il 6 aprile del 1878 dal patriarca di Gerusalemme
Mons. Bracco, ricevette l’
Ordinazione Sacerdotale ( te es
sacerdos in aeternum
) tu sarai sacerdote in eterno.
Padre Salvatore scrive alla sorella Suor Maria Pia
e la rende partecipe della letizia del suo cuore e la commozione per l’evento
desiderato e aspettato con ansia: ‘’
Vi notifico dunque che il giorno 6 aprile avrò la bella sorte di essere
annoverato tra i Ministri del Signore col essere solennemente ordinato
Sacerdote, e che più posso io desiderare, se ormai sono raggiunti i miei voti
? Ah sì che ne provo una stragrande consolazione !
La quale poi si raddoppia per più ragioni.
Prima di tutto per la grazia singolarissima di essere
stato innalzato a tanta dignità…; Secondariamente poi, perché offro quel
Sacrificio nel luogo stesso ove fu compiuto. Chi ha cuore giudichi, se
più propizia poteva essere la circostanza….’’ Il giorno dopo il Beato
aveva la grazia di celebrare la S. Messa
sull’altare del monte Calvario, il luogo dove Gesù
celebrò il sacrificio cruento della sua vita per la nostra salvezza. Al pio e
generoso giovane, solo in tanta festa e letizia, non
potevano non mancare i suoi parenti, fratelli e sorelle lontani e
assenti, pensava con nostalgia a quel giorno in cui facendo ritorno in patria
avrebbe potuto celebrare la S. Messa con loro e per loro, nella chiesa nativa
di S. Biagio a Cappadocia; ma quel giorno era
ancora molto lontano. Dopo il duplice tirocinio nei conventi di S. Salvatore e
del S. Sepolcro in Terra Santa, P. Salvatore giovane e forte
fu destinato alla missione di
Marasc in Turchia con la qualifica di ‘’ missionario
apostolico’’. Per questo
apostolato aveva dovuto faticare non poco per imparare la lingua turca,
quella armena e quella araba che gli furono di grandissimo aiuto nel parlare
con le autorità locali e nelle relazioni con altri confratelli cristiani e
mussulmani. In questo inizio di vita di missione
potè realizzare opere ed iniziative di rilievo
grazie al suo carattere gioviale ed aperto verso tutti. L’efficacia della sua
parola produsse un grande risveglio religioso tra i
cattolici di Marasc: introdusse nuove Sacre
Funzioni come : ( Il Pio Esercizio della Via Crucis), ( il Mese di
Maggio), ( la recita del S. Rosario e il Presepio ). Padre
Salvatore diede l’incarico di acquistare tutto l’occorrente per un presepio
a fra Giacomo da Cercepiccola
che doveva tornare in Italia. Di ritorno fra Giacomo portò con se casse
contenenti : Angeli, Re Magi, Pastori, pecore ecc..
Quando aprimmo le casse, il P. Salvatore tutto contento esclamò :
Quest’anno faremo un Natale
solennissimo…non resterà un
Marasciotto senza venire a visitare il Presepio e così fu;
centinaia e centinaia di persone, ricchi e poveri, cristiani e turchi, da
tutti i quartieri di Marasc accorsero a vedere
Betlemme, questo fu il nome popolare che si diede a quel Presepio. Finalmente
nell’estate del 1885 il suo desiderio di tornare in Italia per festeggiare la
sua ordinazione sacerdotale con i suoi cari fu appagato; s’imbarcò su
una nave dal porto di
Alessandretta costeggiò Cipro e Creta e fece vela per l’Italia ove,
dopo più di un mese approdò a Napoli, poi sempre via mare, giunse a Nettuno
dove potè riabbracciare i cari fratelli, che aveva
lasciato 12 anni prima per seguire la sua vocazione; l’incontro con le persone
care fù commovente. Arrivò poi a Roma nel convento
di S.Francesco a Ripa che trovò occupato da un
reggimento di bersaglieri. Ai primi di agosto del
1885 lasciò Roma e risalendo le montagne che portano in Abruzzo, il 13 agosto
raggiunse il paese natio Cappadocia e
potè così sciogliere il voto del cuore: celebrare
la S. Messa nella chiesa di S. Biagio, dove era stato battezzato e dove tante
volte da bambino aveva servito la messa. Per la festa
dell’ Assunta cantò la Messa Novella. Fu una giornata memoranda che
richiamò intorno al giovane P. Salvatore tutto il paese. A
tavola con le pietanze succulenti si moltiplicarono i brindisi e gli
applausi al sacerdote novello dalla barba fluente. Il giorno dopo
egli si recava al cimitero per pregare sulla tomba
del padre. Ma la festa fu interrotta dal
maresciallo dei carabinieri di Cappadocia, che
ricordandosi di un mandato di cattura per renitenza alla leva, si presentò in
casa Lilli. Il 18 agosto di buon mattino accompagnato dal fratello Attilio
saliva a cavallo e si recava dal Pretore di Avezzano
per giustificare la propria assenza. Come raccontò il fratello,
P.Salvatore da se stesso fece la sua difesa: <<
Signori del tribunale, sappiate che io non sono stato un disertore, ma un
Missionario di Cristo, che ha portato in terra straniera il lume del Vangelo e
della civiltà. Di più sono stato un propagatore d’Italianità nella Terra di
Levante, come ne può far fede il Regio Console in Aleppo,
Sig. Enrico Vitto, gloria del nostro Abruzzo forte e gentile. Voi
pertanto, volendo punire me, punite uno che ha illustrato il nome d’Italia, e
diffuso l’Italiana Favella in Oriente>>. Dal
tribunale di Avezzano fu assolto, ma quella che
doveva essere una formalità, fu una causa che impegnò P. Salvatore quasi un
anno con processi lunghi fino all’appello che terminò con una condanna a tre
anni di carcere con sentenza del 28 ottobre 1885. Poi giunse la grazia,
inviata tramite Menotti Garibaldi figlio del grande
Garibaldi al Re Umberto che concesse il condono della pena con decreto del 17
giugno 1886. Nella sosta forzata a Cappadocia egli
imparò a fare il sarto, il calzolaio, e il muratore ma anche a condurre e
dirigere un’azienda agricola, osservando quanto si andava realizzando nella
bonifica del lago Fucino che prosciugato nel 1875; Nel suo alveo in quel
periodo venivano impiantate aziende agricole
modello con sistemi di avanguardia; così quando tornò a
Marasc in Turchia, aveva accumulato un forte bagaglio di utili
esperienze pratiche. P. Salvatore insensibile a
ogni lusinga per restare in patria, ai primi di luglio del 1886 tornò a Roma
nella chiesa di S. Francesco a Ripa, celebrò una S. Messa e poi salutati
parenti ed amici, si avviò verso Napoli ove s’imbarcò per l’Oriente con meta
Giaffa. Dopo un viaggio disastroso a causa di una
violenta tempesta, giunse in porto e dopo qualche giorno arrivò a Gerusalemme
ove potette riabbracciare compagni e i superiori che informò del ritardo,
accumulato dalla causa di renitenza alla leva. Prima di ripartire per la
missione di Marasc, il beato volle celebrare la S.
Messa nella cappella detta del ’’ latte ‘’ a
Betlemme, ove il 6 agosto del 1874 aveva consacrato la sua vita all’ideale
francescano. Poco prima del Natale 1886, il nostro
raggiungeva Marasc ove, dopo 18 mesi d’assenza,
riprendeva la vita di missionario. Nelle molte lettere che da
Marasc il P. Lilli scrisse alla sorella suor
Maria Pia, affiora il ricordo dei mesi passati in
famiglia; parla del parroco e dei sacerdoti di Cappadocia:
don Antonio e don Achille; di suor Maddalena superiora delle suore Trinitarie
del paese nativo e del grazioso Giustino; chiede di aver cura della sorella
Caterina, poi le rassicura; ‘’ Posso assicurarvi
che non ho intenzione di restare qui tanto tempo, e forse quanto meno ve
l’aspettate mi rivedrete ad augurarvi il ben trovato; pregate dunque e state
di buon animo … il clima specialmente in questo anno fa desiderare la coperta
imbottita, tale è stata la copiosità della neve e delle piogge, non sembra
neppure primavera: la differenza del vostro clima con il nostro è pochissima.
Oltre Marasc altri paesi e villaggi
furono teatro del suo apostolato, come
Don-Kalè, Mugiuk-Deresi
Ain-Karem ecc. Queste località distavano dal
centro da 5 a 10 ore di cammino a cavallo, per strade impervie, con scalata di
montagne altissime. Talvolta la neve e la pioggia rendevano ancora più duro il
viaggio. Il nostro P. Salvatore non si perdeva d’
animo; forte e coraggioso, si portava ove c’era bisogno, per predicare,
amministrare i sacramenti e celebrare la S. Messa, la sua presenza era sempre
gradita perché era cordiale e generoso, non sapeva dire mai di no e per il
bene delle anime non si concedeva riposo. Per lui dice un teste oculare ‘’non
esistevano distanze e disagi, oltre tutto gli
piaceva molto viaggiare; il cavallo poi era l’amico fedele che gli permetteva
di svolgere l’apostolato richiesto e di vedere genti nuove e nuovi paesi.
Aveva comprato una doppietta in Italia e se l’era portata a
Marasc anche per difendersi dalle bestie feroci
durante i suoi numerosi viaggi; Nelle soste di questi viaggi
di apostolato, o per distrarsi, P. Salvatore
riusciva ad andare anche a caccia, riportando le bisacce ben piene di
cacciagione. Rimproverato per queste distrazioni, rispose che se pure andava a
caccia faceva però tante altre cose che il detrattore mai avrebbe immaginato.
Dopo una permanenza di circa un anno ad Aintab,
ritornò a Marasc ove fu eletto superiore e
parroco. In questo quadriennio le doti di mente e di cuore di P. Salvatore e
le sue attività, sorrette dalla piena maturità fisica e morale, si
manifestarono e si concretizzarono in opere di
rilievo sia nel campo spirituale che in quello materiale. Ma il 10 dicembre
1890 scrive al P. Custode ‘’Ella ben deve
conoscere come il colera ha infestato anche Marasc,
da quaranta giorni domina con una violenza tale che raggiunge la cifra di 160
attacchi al giorno con fino a 78 decessi… anche la nostra piccola comunità
latina è stata attaccata, una ventina di casi con tre decessi che rese
cadaveri in otto dieci ore di tempo, tanto fu violento; ed io come ella ben
sa, solo soletto, ho dovuto sgambettare come un
postino di giorno e di notte per assisterli ma grazie a Dio finora nessuno è
rimasto senza sacramenti e accompagnamento al cimitero. Alla sorella
suor Maria Pia il 4 dicembre 1890 scrive:
‘’ Il Signore dà la lana secondo le stagioni;
poiché oltre che mi conserva in ottima salute, in questi funesti giorni tale
mi sentivo un coraggio, che l’andare presso il coleroso, toccarlo,
amministrargli medicine, fargli frizioni, rivoltarlo ed altro in simili casi,
sembravami cosa ordinaria, cosicché io che non
aveva visto mai colera, invece di sbigottirmi, parea
un vecchio soldato di battaglie, tanto mi sentiva in coraggio; ripeto che
solamente il ministro della Chiesa cattolica, compenetrato dall’alto mistero
che occupa, fidente in quel Dio che lo sostiene, sprezza i pericoli, e corre
ad alleviare il misero fratello che tante volte si trova abbandonato anche dai
suoi cari ’’. Con grande concorso di popolo
e soddisfazione dei cattolici di Marasc, fu
inaugurata il 13 giugno del 1894 la nuova cappella. Padre Sabatino
durante la predica disse : Signore in questa tua
nuova casa benedici anche Colui che l’ha edificata… vedi Signore, ogni pietra
gli costò tante lacrime… Il nostro missionario restò molto commosso e
pianse a questa mia sincera preghiera fatta per Lui ma subito rese grazie a
Dio e all’intercessione di S. Antonio di Padova ai quali attribuiva questo
successo; che a suo dire non poco avrebbe influito sull’avvenire della
missione di Marasc e dintorni. La fabbrica della
chiesa e l’acquisto della grande azienda agricola
di Pazargek, gli causarono contrasti e sofferenze,
dovuti all’incomprensione dei superiori e più all’invidia di qualche
confratello che soffiò sul fuoco. Nel Capitolo tenuto a Gerusalemme
nell’agosto del 1894 fu deposto da tutte le cariche e relegato a
Mugiukderesi, uno sperduto villaggio a sei ore di
cavallo da Marasc. Lui in una lettera rispose cosi
ai suoi superiori: ‘’Sono 4 anni che i
superiori mi hanno affidato questa missione; grazie a Dio posso andare con la
fronte alta e all’infuori di lettere di lode e approvazioni non ho altro
ricevuto… e se i superiori conoscevano il mio irregolare
diportamento perché non hanno fatto il loro dovere di correggermi ? Si
temeva forse la mia ribellione? Ma viva Dio, sento
di avere un po’ di coscienza, e di non appartenere alla casta di quei
religiosi il cui movente è la propria volontà. Un passato di 21 anni in
T. Santa, sotto 5 R.mi,
2 Presidenti Custodiali, 2 Delegati Apostolici,
sono lì a provare quanto asserisco; ringrazio tutti
questi miei cari confratelli: che il Signore l’illumimi,
e a me conceda la pazienza e la rassegnazione>>. Siamo così arrivati
all’estate del 1895. P. Salvatore è a Mugiukderesi,
ove si è ritirato da un anno, svolge la sua attività di
apostolo in mezzo ai fedeli ( circa 400 o 500 anime) che gli sono
particolarmente affezionati e ne seguono gli insegnamenti e l’esempio. Ormai
si è rassegnato alla volontà dei superiori ed ha accettato la destinazione a
parroco di questo villaggio sperduto tra le montagne.
Attende anche ai lavori dei campi, dovendo curare una grossa azienda agricola
divisa in 63 poderi; è in continuo movimento per l’aratura, semina e
mietitura; qui ha trasportato tutti i macchinari già acquistati per la tenuta
di Pazargek. L’utima
sua occupazione fu il trasporto dell’acqua da una sorgente sul monte, fino
alla residenza del missionario, cosa che un suo predecessore non era riuscito
a fare. Quando ormai con la grande azienda si era
dato un lavoro ai cristiani; con la scuola poi si curava la loro istruzione ed
educazione e con la presenza stabile di P. Salvatore si dava garanzia di
ordine ed assistenza, come un uragano scoppiò la persecuzione che distrusse
ogni cosa e stroncò tante vite umane. Molte esortazioni gli erano giunte dai
confratelli P.Dionisio
Stopponi e da P.Emanuele
Trigo, di ritirarsi subito a
Marasc prima che i passi dei monti fossero
coperti di neve; Anche i Padri Francescani di Jenige-kalè
mandarono per tre volte nello stesso giorno un messaggero a pregare il
P.Salvatore di scappare con loro a
Zeitun, ma egli per tre volte rispose: <<
Dove sono le pecore ivi deve essere il pastore>>. Ma solo quando gli
riferirono che nella vicina città di
Aintab la missione cattolica era stata
saccheggiata e bruciata, prese la risoluzione di lasciare il convento per
rifugiarsi sui monti vicini che conosceva molto bene poiché li aveva percorso
negli spostamenti e nelle battute di caccia. Alla vigilia dell’arrivo dei
soldati turchi, il 19 novembre 1895, P. Salvatore sellò il cavallo, riempì le
bisacce e si apprestò a ritirarsi sui monti; ma fu allora che dalle case del
villaggio accorse la gente e gli si fece d’attorno
pregandolo e scongiurandolo a restare con loro; quella povera gente piangente
e desolata pregava il sacerdote a non abbandonarla nella tempesta privandola
anche dei conforti religiosi. A queste parole P. Salvatore scese da cavallo e
fece ritorno in convento.“Non posso abbandonare le mie pecorelle;
preferisco morire con loro, se è necessario”. Poco dopo giungeva un
drappello di soldati ai quali egli si fece incontro con fare cortese e
sorridente; in risposta si ebbe un colpo di
baionetta che lo ferì ad una gamba. Giunse però il colonnello
comandante il battaglione che calmò le acque.
P. Salvatore potè così
accogliere i soldati nel convento, mettendo a loro disposizione le derrate
alimentari. Per prima cosa fece preparare un caffè, ma
visto che i turchi non lo prendevano perché
temevano fosse avvelenato, lui per primo ne sorbì una tazzina e cosi poi
fecero pure gli ufficiali. Intanto aveva mandato un suo amico fidato
Dykran, a sentire il bey ( capo mussulmano ) del
paese per conoscere le vere intenzioni dei soldati. Questi fece ritorno la
sera stessa ma non potè riferire a P. Salvatore
perché chiuso in una stanza e guardato a vista dai soldati.
Potè
però vedere anche se da lontano il martire che zoppicava per la ferita
ricevuta e che ancora sanguinava macchiando il pavimento della casa.
Da quanto gli aveva confidato il bey del villaggio e da
quanto aveva visto con i propri occhi, il messaggero capì che la morte di P.
Salvatore era già segnata; approfittando della confusione, prima di notte, si
allontanò dal villaggio e fuggi verso i monti. Dopo la sosta di qualche
giorno nella residenza, i soldati turchi incendiarono e distrussero il
convento e la chiesa e il 22 novembre 1895, venerdì e festa di S. Cecilia
martire, dietro il battaglione in marcia, si vide una carovana di persone che,
legate tra loro da una fune presa nel convento, lasciavano
Mugiuk-deresi. Con questi 7 prigionieri c’era
anche P. Salvatore che nella mattina li aveva radunati in chiesa ed aveva
impartito loro l’assoluzione in articulo
mortis, esortandoli ad
essere fermi nella fede. Il nostro martire non
potendo sostenere la marcia, causa la ferita, chiese una cavalcatura.
Il colonnello rispondendo al Padre gli disse che per avere la vita salva
bisognava che si facesse musulmano, il Padre guardò in silenzio.
Dopo quasi due ore di cammino giunti al ponte detto del
diavolo, sotto il quale scorre il ruscello ( Jalu
), i soldati invece di proseguire per Marasc,
condussero il P. Salvatore e Compagni lungo la riva del fiume dove sorgeva un
folto canneto; quivi fu dato l’ordine di sosta; il colonnello propose al P.
Salvatore e Compagni di rinnegare la Fede di Cristo e di abbracciare quella di
Maometto, ma al loro rifiuto verso mezzogiorno si consumò il sacrificio di
queste vittime innocenti; i soldati si strinsero in cerchio intorno ai
prigionieri legati con la corda. Per prima cosa si
impose loro di rinnegare ancora una volta la fede cristiana per seguire
Maometto. L’invito era già stato fatto a P. Salvatore sia prima che dopo
l’inizio della marcia. Lui aveva risposto di essere un sacerdote cattolico,
seguace e ministro di Gesù Cristo:
Giammai avrebbe rinnegato la propria fede: Mio Dio
liberaci da questa tentazione, non accetterò mai di essere
musulmano, al di fuori di Gesù Cristo, non presto
fede a nessuno, sul luogo del martirio a chi lo esortava a
farsi musulmano e così aver salva la vita, alzando le mani in preghiera
diceva solo : Io credo a Cristo Signore, io non cambio la fede in Cristo
con il vostro Maometto, sono sacerdote e credo solo a
Gesù Cristo. Mentre lo colpivano, ai fedeli che erano con lui
diceva: Figli miei non fatevi musulmani: questo
mondo è passeggero. Le ultime parole furono: Figli miei
affidiamoci a Cristo. Spirando fra le fiamme
mormorò : Mio Dio mi raccomando a voi !!!.
Il giorno stesso del martirio, 22 novembre del 1895, un soldato musulmano che
aveva partecipato al massacro, meravigliato, confidava a persona fidata: <<
quel porco di prete ha preferito morire; non ha voluto rinnegare
Gesù Cristo >>. Un altro soldato
raccontando il fatto in famiglia diceva: <<
Come era solido e robusto quel frate!! Crivellato dalle nostre
baionette e in mezzo alle fiamme del petrolio, il suo corpo, disteso a terra,
saltellava ancora >>.Una ragazzina di nome Maria
Balgi, di circa 10-12 anni, rapita dai soldati a
Mugiuk-deresi potette assistere alla scena
violenta del martirio e ne riferì i particolari. Restate dunque inascoltate le
proposte di farsi musulmano per aver salva la vita,
visto che sette cristiani seguivano P. Salvatore ed erano costanti nella
fedeltà a Cristo Signore, con la tromba fu dato il segnale ed i soldati si
avventarono sull’inerme grappolo di vite umane; a colpi di baionetta li
uccisero tutti, l’uno dopo l’altro. Quando la strage fu compiuta, sui corpi
ancora tremanti versarono del petrolio ( ne avevano
portati due recipienti pieni : altra prova della volontà omicida) e diedero
loro fuoco. Alte fiamme si alzarono verso il cielo
precedute da un denso fumo nero; così in pochi minuti degli otto
martiri non restarono che poche ossa bruciacchiate e brandelli di vesti
annerite. I soldati Turchi scavarono allora una fossa vi calarono quei resti e
li ricoprirono con terra e rami di albero. Compiuto
il misfatto, ripresero la marcia, convinti che nessuno ne
avrebbe saputo niente, perché il delitto era avvenuto in luogo remoto,
in mezzo a un bosco. L’ inverno imminente poi con le piogge e la neve, avrebbe
cancellato anche le poche visibili tracce. Ai
sodati fu dato ordine di non rivelare a nessuno quanto era accaduto. Il
diavolo però, dice un proverbio, fa le pentole ma non i coperchi. Non erano
passati che pochi giorni e la notizia del martirio di P. Salvatore e dei sette
compagni Armeni era di dominio pubblico, sia a
Marasc che nei d’intorni
come poi nei paesi d’oriente e di occidente. Fu P.
Marcellino Nobili che in una sua lettera del 11 maggio del 1896 scrive
al P. Custode : ‘’Sabato scorso, con la ragazzina Maria
Balgidi di Mugiuk-deresi,
che si trovò presente alla morte di P. Salvatore e Compagni, sono andato alla
ricerca del luogo ove furono massacrati. La ragazzina, dopo alcune esitazioni,
indicò che il luogo del massacro era in faccia a due case e che si vedeva una
vigna e che vicino vi era un terreno mietuto. Una delle due persone che erano
venute con me mi disse che un terreno mietuto era
ad un quarto d’ora verso Nord; dopo mezz’ora di ricerche in una selva
abbastanza folta, una delle persone trovò due ossi in un piccolo ruscello: me
li mostrò e asseriva che erano ossi di braccio umano, li distingueva bene
perché era solito seppellire i morti. Dopo un po’ mi mostrò anche un cespuglio
bruciato e vicino la terra bruciata. Osservammo bene la terra bruciata,
trovammo alcuni pezzetti di ossi bruciati e li
prendemmo con noi. Chiamammo la ragazza e le facemmo notare che il terreno
mietuto era alla nostra sinistra, in faccia si vedevano due case, e sopra la
casa si vedeva una vigna. La ragazza mi rispose che precisamente questo era il
luogo, e che mentre li massacravano e bruciavano, essa si trovava nel piccolo
rialzo alla destra del luogo, a qualche minuto di distanza. Allora fummo certi
di aver ritrovato il luogo e ritornammo a Mugiuk-deresi.
La domenica mattina avvisata da noi, venne la Commissione, esaminò gli ossi e
con alcuni uomini ritornammo sul luogo; gli mostrai il cespuglio bruciato e
altri pezzetti di ossi; quindi si cominciò a
cercare lungo il ruscello, e furono trovati molti altri ossi, pezzi di abiti
bruciati e un pezzetto di cordone di lana bruciato di P. Salvatore; Non vi
erano più dubbi il luogo del massacro era quello. Dopo aver raccolto altri
residui di ossi, vesti, ecc ritornammo in
paese’’. Nel terzo secolo dopo Cristo Tertulliano
scriveva ‘’ il sangue dei martiri è seme di
nuovi cristiani ‘’ Come visto, il 22 novembre 1895 fu versato il sangue
innocente di P. Salvatore Lilli e di sette suoi parrocchiani
Armeni: il loro martirio ottenga il dono della
pace all’umanità traviata.
Ricerche effettuate da Mario Cosciotti estratte dal
libro di Padre Salvatore Lilli O. F. M.
Nipote del Martire (Vita del Padre Salvatore Lilli Da
Cappadocia)
Gerusalemme Tipografia dei PP. Francescani (21 gennaio 1947)
E
dal libro di: Germano
Cerafogli (BEATO SALVATORE LILLI DA
CAPPADOCIA) (Roma 1982)
SANTA MESSA PER LA PROCLAMAZIONE DI 8 NUOVI BEATI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Basilica di San Pietro, 3 ottobre 1982
Cari fratelli e sorelle!
1. Grande è la
gioia della Chiesa per l’elevazione agli onori degli altari
di alcuni luminosi suoi figli: il Beato Salvatore
Lilli, dei Frati Minori, un italiano e sette cristiani della Turchia Orientale
(Armenia Minore), martiri della fede. È significativo
che la Beatificazione del Padre Salvatore Lilli, missionario francescano della
Custodia della Terra Santa e parroco di Mujuk-Deresi,
avvenga proprio oggi, vigilia della festa di san Francesco d’Assisi. Nel
settimo centenario della morte del Santo di Assisi,
nel 1926, il mio predecessore Pio XI volle sottolineare l’unione che lega il
Serafico san Francesco alla terra di Gesù,
beatificando otto francescani della Custodia, uccisi a Damasco nel 1860. Oggi,
nell’anno otto volte centenario della nascita di
san Francesco, un altro suo figlio, anch’egli impegnato
pastoralmente in terra d’Oriente, è elevato agli onori degli altari,
insieme a sette suoi parrocchiani martiri.
2. La cronologia
del beato Salvatore è semplice, ma ricca di fatti che attestano il suo grande
amore a Dio ed ai fratelli; essa culmina col martirio che venne a coronare una
vita di fedeltà alla vocazione francescana e missionaria. Dei sette Soci nel
martirio conosciamo i nomi, le famiglie e
l’ambiente di vita: erano umili contadini e ferventi cristiani, provenienti da
una stirpe che ha conservato attraverso i secoli integra la propria fedeltà a
Dio ed alla Chiesa, nonostante momenti difficili ed a volte anche drammatici.
Fra quella gente umile il giovane missionario si
immerse con dedizione totale, realizzando in breve tempo quanto poteva
sembrare impensabile agli altri. Fondò tre nuovi villaggi per riunire i nuclei
familiari dispersi, allo scopo di meglio proteggerli ed istruirli; provvide
all’acquisto di un vasto terreno per dare un lavoro ed un pane a chi
ne era privo e promosse con tenacia l’istruzione
dei giovani. Soprattutto impresse un ritmo più intenso alla vita religiosa dei
suoi parrocchiani, che si sentivano trascinati dal suo esempio, dalla sua
pietà e dalla sua generosità; i suoi preferiti erano gli ammalati, i poveri, i
bambini. Saggio consigliere e solerte promotore di
opere sociali, era aperto a tutti: cattolici, ortodossi, musulmani ed a tutti
sapeva offrire, col sorriso, il suo servizio; per questo era particolarmente
amato dai suoi fedeli, stimato e rispettato dagli altri. Durante poi
l’imperversare del colera, il suo apostolato si
illuminò di carità eroica: fu nello stesso tempo sacerdote e medico.
Incurante del contagio, passava di casa in casa assistendo
moralmente e materialmente gli ammalati. In questa circostanza scrisse
alla sorella, religiosa Trinitaria: “Mi sentivo un tale coraggio che l’andare
presso il coleroso, soccorrerlo, amministrargli medicine, ecc.,
mi sembravano cose ordinarie”. E ne indicava la
chiara motivazione: il sacerdote pieno di fede in Dio non teme i pericoli e
“corre ad alleviare il misero fratello che tante volte si trova abbandonato
dai suoi più cari” (Lettera alla sorella Suor Maria
Pia, religiosa Trinitaria, 4 dicembre 1890).Quando
insorsero con violenza i sintomi premonitori della tempesta che si avvicinava
minacciosa, i confratelli esortarono il Padre Salvatore a riparare in luoghi
più sicuri. Gli stessi abitanti della zona, preoccupati per la vita del loro
Padre, insistettero perché si ponesse in salvo. La
risposta di Padre Lilli fu calma e decisa: “Non posso abbandonare le mie
pecorelle; preferisco morire con loro, se è necessario” (Positio
super Martyrio, Summarium,
teste III, ad art. 16, p. 36); e rimase nella stazione missionaria.
Il 19 novembre
1895, i militari entrarono nella casa parrocchiale e il comandante pose subito
l’alternativa: o rinnegare Cristo, o morire. Chiara
e ferma fu la risposta del sacerdote che dovette
per questo subire una prima esplosione di violenza: alcuni colpi di baionetta
che ne fecero scorrere il sangue. Tre giorni dopo, il
religioso e sette suoi parrocchiani furono condotti via dalla truppa;
marciarono per due ore; vicino ad un torrente furono fatti fermare ed il
colonnello propose per l’ultima volta di scegliere fra l’abiura e la morte:
“All’infuori di Cristo non riconosco alcuno”, disse il Padre. Non meno nobile
fu la risposta degli altri Martiri: “Uccideteci, ma non rinnegheremo la nostra
religione” (Ivi., teste V, p. 53 ad 8).Per
primo fu ucciso il beato Salvatore, trafitto dalle
baionette dei soldati: immediatamente dopo, gli altri sette subirono la
medesima sorte.
3. Questo
missionario francescano ed i suoi sette fedeli parlano con eloquenza incisiva
al mondo di oggi: sono per tutti noi un salutare
richiamo alla sostanza del cristianesimo. Quando le circostanze della vita ci
pongono di fronte alle scelte fondamentali, fra valori terreni e valori
eterni, gli otto Beati Martiri ci insegnano come si
vive il Vangelo, anche nelle contingenze più difficili. Il riconoscere
Gesù Cristo come Maestro e Redentore
implica l’accettazione piena di tutte le
conseguenze che nella vita derivano da tale atto di fede. I Martiri, elevati
oggi agli onori degli altari, vanno onorari imitandone l’esempio di fortezza e
di amore a Cristo. La loro testimonianza e la
grazia che li ha assistiti sono per noi motivo di coraggio e di speranza: ci
assicurano che è possibile, di fronte alle più ardue difficoltà, seguire la
legge di Dio e superare gli ostacoli che si
incontrano nel viverla e metterla in pratica. I nostri beati Martiri hanno
vissuto in prima persona le parole rivolte da Gesù
ai suoi discepoli: “Chiunque mi renderà testimonianza davanti agli uomini, gli
renderò testimonianza davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt
10,32). Il beato Salvatore ed i suoi compagni hanno
subìto la morte per rendere la loro eroica testimonianza a Cristo di
fronte al mondo: il Signore ha reso loro la sua testimonianza davanti al Padre
con la vita eterna. Questa lezione, sia di sprone a tutti
i battezzati per una vita cristiana sempre più coerente e sempre più generosa
al servizio del Signore, della Chiesa e dell’uomo.
Secondo l’auspicio di Giovanni Paolo II ‘’ Non ci siano più guerre né popoli
né minoranze oppresse, esuli e senza patria. ‘’
Grazie ottenute per intercessione del Martire P. Salvatore
Lilli da Cappadocia.
Tratte dal libro P.Salvatore Lilli O.F.M. (nipote
del martire)
Gerusalemme tipografia dei PP. Francescani 21
gennaio 1947
A ) Guarigione
del Sig. Di Fabio Federico spedito dai medici.
Ecco come la racconta il suo fratello Angelo:
Ecco come la racconta il suo fratello Angelo:
<< Il sottoscritto Angelo Di Fabio fu Antonio, nato a Roma il 12 gennaio 1887, previo il giuramento sul S. Vangelo, espone quanto segue: Il 25 aprile u.s. per un’ulcera allo stomaco, che lo tormentava da parecchio tempo, mio fratello Federico di anni 45 dovè sottoporsi ad un’operazione chirurgica. L‘atto operatorio fu eseguito dal Prof. Fantozzi, e fin dal primo momento per complicanze verificatesi, il caso si presentò grave. Esso si fece ancora più grave dopo sette, otto giorni, essendo sopravvenuta la peritonite. Il malato non tollerava più nemmeno un dito d’acqua, e delle febbri altissime continue non gli davano un minuto di riposo. Il Prof. Ficacci, Direttore dell’Ospedale S.Spirito di Roma chiamato a consulto, dichiarò apertamente che la scienza medica ormai non poteva più nulla, anche perché nel frattempo era comparso il singhiozzo, sintomo estremo della peritonite, che per solito appare 24 ore prima della morte. In preda alla costernazione più viva, noi parenti invocammo l’aiuto Divino, facendo fare tridui a S. Rita, a S. Antonio e a Maria SS.ma. La notte dell’ XI maggio u.s. fu estremamente grave: per ben due volte la catastrofe sembrò imminente: Il giorno successivo le condizioni si aggravarono ancora; nel primo pomeriggio la febbre che per solito aumentava nella serata, quel giorno era già salita a 45. In tutti era la convinzione, confermata dal Prof. Ficacci tornato a visitare il malato, che questi non avrebbe potuto superare la notte. Fu in questo momento che da una pia persona, che ne era in possesso, ci fu recapitato un rosario appartenuto al Missionario Francescano Padre Salvatore Lilli da Cappadocia, martirizzato nel 1895 nell’ Armenia Minore. Previa fervida invocazione a questo Martire, ponemmo la reliquia al collo del malato il quale, dopo poco tempo, cominciò a riposare. Un sonno grave, lo tenne tranquillo per tutta la notte, e al mattino seguente, tra la meraviglia e l’ammirazione di tutti, compresi i medici, per il fatto prodigioso, si svegliò completamente senza febbre. Esso era fuori pericolo. Questa repentina guarigione non poteva non essere chiamata miracolosa: e per noi che toccammo con mano l’immediato senso di benessere sopravvenuto al malato, non appena messo al collo il rosario anzidetto, e che vedemmo in poco tempo risolversi la sua mortale malattia, non ci è ombra di dubbio che il miracolo sia stato operato da Dio per intercessione del suo glorioso Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia, al quale ancora una volta, con devota venerazione e dal profondo del cuore, manifestiamo la nostra gratitudine per la grazia ricevuta >>.
In fede Roma
li 20 giugno 1929 Angelo Di Fabio (Roma, via del
ricovero, XI)
Testi
: Italia Antonelli moglie del miracolato
Irma
Antonelli cognata del miracolato
Relazione del
Medico curante confermata dal Medico chiamato a consulto:
<<Il 24 aprile
dell’anno scorso entrò in casa di salute di Via di Col
di Lana in Roma, il Sig. Di Fabio Federico per
esservi operato il dì seguente di laparotomia per ulcera dello stomaco. I
primi sette giorni dopo l’atto operativo passarono
abbastanza bene per l’infermo il quale si nutriva leggermente ma regolarmente.
All’ottavo giorno s’iniziò una febbre che si andò man mano facendosi sempre
più alta fino a 40 gradi e si accompagnò nei giorni seguenti con diarrea
profusa. Il giorno 8 maggio comparvero netti sintomi di peritonite (vomito,
meteorismo, dolorabilità dell’addome …). Fu
chiamato a consulto il Prof. Luigi
Ficacci il quale confermò la diagnosi, ritenne il
caso grave e fece prognosi molto riservata. L’ XI maggio lo stato
del Di Fabio peggiorò: egli presentava facies
peritonica, polso frequente,
filisomme, sudori profusi, vomito fecativo.
Nuovamente chiamato il Prof.
Ficacci, dichiarò il caso disperato e non ritenne opportuno alcun altro
sussidio terapeutico; Il giorno 12 il malato era agonizzante. Durante la notte
tra il 12 e il 13 maggio, con sudorazione profusa, l’infermo cominciò a
mostrare qualche miglioramento nelle sue condizioni generali, e la mattina noi
medici curanti insperatamente trovammo il Di Fabio talmente cambiato nelle sue
condizioni generali e locali da giudicarlo fuori pericolo, e d’allora s’iniziò
la convalescenza la quale durò circa un mese. Posso attestare che la natura
del male era tale che neppure con le cure fatte si poteva pensare ad un
cambiamento così rapido>>.
In fede
: Velletri 13 marzo 1930
F.to Dott. Pietro
Fantozzi (Direttore Ospedale Civile)
Visto per la
legalizzazione della firma del
Sig. Fantozzi Pietro
medico-chirurgo
Il Podestà
: F.to Mammuccari
Si conferma quanto sopra
Dott. Prof. Luigi
Ficacci.
B )
Guarigione del Sig. Ferrazza
Angelico fu Raffaele (da ragadi senza atto operativo)
Ecco come
riferisce la sua signora Assunta Domenichelli:
<<Io sottoscritta sento il dovere di rendere pubbliche grazie, al Martire Padre Salvatore Lilli da Cappadocia, per una grazia segnalatissima fatta a favore di mio marito, affetto da ragadi a l’ano che atrocemente lo tormentavano. Il Medico-Chirurgo Prof. Luigi Sironi riteneva indispensabile l’operazione, e venerdì 19 gennaio 1929 fissò che il lunedì prossimo si fosse trasportato all’ Ospedale S. Carlo in Piazza S. Marta per operarlo il giorno stesso. Uscito il dottore da casa, telefonai al cugino di mio marito Avv. Francesco Ferrazza per avvisarlo della decisione presa dal Dottore a riguardo di mio marito e venutolo subito a visitare, vedendoci tanto impressionati, ci dissuase dall’ atto operativo e ci esortò ad aver fiducia nel Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia rassicurandoci che con questo mezzo l’operazione non si sarebbe dovuta più fare. Il giorno seguente tornò L’Avv. Ferrazza portandoci una corona rilegata dal Martire P. Salvatore Lilli insieme ad una Lettera Autografa del Martire, scritta nel giorno della sua Consacrazione Sacerdotale, ripetendoci che con questa divozione sicuramente saremmo stati risparmiati da tante pene. Di fatti noi pregammo col massimo fervore il Martire, implorando la desiderata grazia. Il lunedì tornò il Dottore, ma mio marito aveva tanto migliorato che disse non essere più in condizione di doversi operare. Non solo, ma quale meraviglia quando dopo 5 o 6 giorni lo rivedemmo tornare in campagna, e cavalcare da mattina a sera come era sua abitudine, e non soltanto erano cessati gli spasimi atroci, ma era completamente guarito. Alla nostra affermazione di guarigione il Dottore si è mostrato diffidente, dicendoci che non può essere guarito perché non si è operato, e che le ragadi si sarebbero riprodotte. Ma noi purtroppo possiamo giurare di essere stato curato dalla mano del Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia a cui con fede ardente ci rivolgemmo; e poi ora è trascorso già un anno e mio marito non è stato più tormentato, né le ragadi sono più riapparse>>.
<<Io sottoscritta sento il dovere di rendere pubbliche grazie, al Martire Padre Salvatore Lilli da Cappadocia, per una grazia segnalatissima fatta a favore di mio marito, affetto da ragadi a l’ano che atrocemente lo tormentavano. Il Medico-Chirurgo Prof. Luigi Sironi riteneva indispensabile l’operazione, e venerdì 19 gennaio 1929 fissò che il lunedì prossimo si fosse trasportato all’ Ospedale S. Carlo in Piazza S. Marta per operarlo il giorno stesso. Uscito il dottore da casa, telefonai al cugino di mio marito Avv. Francesco Ferrazza per avvisarlo della decisione presa dal Dottore a riguardo di mio marito e venutolo subito a visitare, vedendoci tanto impressionati, ci dissuase dall’ atto operativo e ci esortò ad aver fiducia nel Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia rassicurandoci che con questo mezzo l’operazione non si sarebbe dovuta più fare. Il giorno seguente tornò L’Avv. Ferrazza portandoci una corona rilegata dal Martire P. Salvatore Lilli insieme ad una Lettera Autografa del Martire, scritta nel giorno della sua Consacrazione Sacerdotale, ripetendoci che con questa divozione sicuramente saremmo stati risparmiati da tante pene. Di fatti noi pregammo col massimo fervore il Martire, implorando la desiderata grazia. Il lunedì tornò il Dottore, ma mio marito aveva tanto migliorato che disse non essere più in condizione di doversi operare. Non solo, ma quale meraviglia quando dopo 5 o 6 giorni lo rivedemmo tornare in campagna, e cavalcare da mattina a sera come era sua abitudine, e non soltanto erano cessati gli spasimi atroci, ma era completamente guarito. Alla nostra affermazione di guarigione il Dottore si è mostrato diffidente, dicendoci che non può essere guarito perché non si è operato, e che le ragadi si sarebbero riprodotte. Ma noi purtroppo possiamo giurare di essere stato curato dalla mano del Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia a cui con fede ardente ci rivolgemmo; e poi ora è trascorso già un anno e mio marito non è stato più tormentato, né le ragadi sono più riapparse>>.
Roma 19 febbraio
1930 in fede: Assunta
Ferrazza
Preghiera per
ottenere le grazie mercè l ’intercessione del servo di Dio:
Beato
Salvatore Lilli
O
Gesù, Glorificatore dei Vostri Servi fedeli, io Vi
prego caldamente di manifestare la gloria del Vostro Martire P. Salvatore,
affinché La S. Chiesa possa presto proclamarla solennemente, e di concedermi
per la di lui intercessione la grazia … ( si esprima la grazia ) che con tutta
fiducia Vi domando…
Un Pater, Ave e
Gloria.
O
Gesù, Pastore supremo delle anime, Voi che per la
loro salvezza avete dato tutto il Vostro Sangue, accettate l’offerta
ch’io vi faccio di tutte le privazioni, gli stenti
e i sacrifizi che a prò
delle medesime a sofferto il Vostro Servo P. Salvatore durante il suo lungo e
fecondo apostolato; e concedetemi per la sua intercessione la grazia
domandata..…
Un Pater, Ave e
Gloria.
O Gesù, Redentore
amabilissimo, per gli strazi da Voi sofferti sulla Croce, io sopporto ben
volentieri le pene della vita presente, e, unite a quelle che
soffri nel suo Martirio il Vostro
Servo P.
Salvatore, le offro a Voi pregandovi di concedermi per la di Lui intercessione
la grazia
sospirata…Un Pater, Ave, e Gloria.
Avvertenza: Tutti
coloro che riceveranno dal Signore grazie speciali per l’intercessione del
servo di Dio, sono pregati di notificarle:
AL M. R. P. FORTUNATO SCIPIONI
POSTULATORE GENERALE DEI
FRATI MINORI COLLEGIO DI SAN ANTONIO
VIA MERULANA, 124 ROMA
La Corona MIRACOLOSA appartenuta al Beato
Salvatore Lilli da Cappadocia,
consegnata
ai parenti dopo la sua morte:
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