Al mio paese, quando si dice “riccio a sacco” non si intende fare provvista di
castagne con tutto il riccio; si intende uno scherzo goliardico che talvolta
si faceva a ragazzi non molto svegli o che venivano per la prima volta in
villeggiatura a Petrella Liri. Non si tratta neppure di ricci di mare, ma
del riccio, detto anche porcospino. Negli anni ‘60, il paese era ancora
pieno di abitanti attivi; non era stato ancora assediato dal cemento e dal
traffico vacanziero. I campi intorno, che ora sono nascosti da boscaglia e
cespugli, erano prati o coltivazioni di grano o granturco. Questi ultimi
erano spesso mete di nostre incursioni, per approvvigionarci di materia
prima per farci la “’ncotta”, cioè, una “grigliata” di pannocchie fresche,
arrostite sulla brace. Spesso si faceva direttamente in campagna; altre
volte in casa di qualcuno della comitiva. A quel tempo, nei prati avresti
potuto vedere pascolare animali; si sentivano spesso i loro versi: ragli,
nitriti, muggiti, belati ecc.; si sentiva, molto spesso, il suono delle
campane appese al collo di muli o di cavalli che pascolavano.
Qualche sera d’estate, nel buio avresti potuto sentire
anche il suono di un campanaccio che non era appeso al collo di un animale
ma era in mano a qualche ragazzo che era stato fatto oggetto di uno scherzo.
Un orecchio attento avrebbe anche potuto sentire una voce che chiamava,
nell’oscurità: “riccio a sacco, riccio a sacco!”. In quelle fresche
serate d’estate, ci si riuniva sempre lì, al Bar-osteria da Scrocchino. Si
giuocava a briscola e tresette e poi si faceva la passatella. Colui che
faceva la “primiera” gestiva tutte le bevande che venivano ordinate,
decidendo chi avrebbe bevuto e chi invece sarebbe restato all’asciutto,
cioè: “olmo”. Qualche giovane forse non conosce il significato allegorico di
questa parola. L’olmo serve, o serviva, solo come appoggio alla vite che
porta l’uva dalla quale si ricava il vino. Quell’estate era venuto in
vacanza Pino, un ragazzo sulla ventina, tutto figo, come si direbbe oggi,
che si atteggiava un po’, ma tutto sommato era un timido; cercò di
integrarsi subito nel nostro gruppo di paesani ed oriundi. Ormai era dei
nostri, ma non era ancora bene acclimatato. Mentre eravamo al bar, per farci
una partita a carte, a qualcuno di noi venne un’idea:
- Ragazzi, sss, non facciamoci sentire da Pino; che ne dite se, questa sera, lo portiamo a riccio a sacco?
Splendida idea, approvata
all’unanimità. C’era soltanto da rimediare una campana ed un sacco di tela
iuta. Non era difficile, in paese, rimediare una bella campana, dal suono
deciso, una di quelle che si appendevano al collo dei muli o dei montoni o
delle vacche.
Il materiale era pronto; Bruno fa:
- Ce la facciamo questa partita, o no?
-
Ma quale partita, ti sei scordato che domani dobbiamo farci gli spaghetti
col riccio?! Non avevamo deciso di andare a riccio a sacco?
-
Uh, è vero, m’ero scordato! Ma la campana col sacco ce l’abbiamo!
-
È tutto pronto, la serata è tranquilla, per cui…
-
Ma che d’è ‘sta cosa, aoh? – chiese Pino, che incominciava ad
abboccare.
-
Come, che d’è!? È la caccia al riccio; lo conosci il riccio? Il
porcospino; l’hai mai mangiato? Noo? Che ti sei perso! Nel sugo, con gli
spaghetti, devi sentire che mangi! Qui lo cacciamo spesso d’estate; però ci
vuole un po’ d’esperienza, perché bisogna farlo di notte: una squadra che
conosce bene la zona va in giro scuotendo i cespugli con i bastoni, mentre
uno, abbastanza calmo, deve appostarsi con un sacco e suonare la campana.
-
La campana!?
-
Si, la campana che usano qui per le bestie; sai, i ricci sono attratti dal
suono; al suono della campana loro si avvicinano e, allora bisogna essere
svelti; bisogna tenere il sacco aperto e chiuderlo appena il riccio è
entrato dentro.
- Allora si va?! - Disse Nino, con in mano
il sacco e la campana - Chi li tiene questi?
- Pino, vieni pure tu?
-
Magari, perché no!? - rispose - Però non mi vorrei perdere, ché non
conosco la zona.
-
Non ti preoccupare, caso mai, se vuoi, puoi stare fermo in agguato, col
sacco e la campana, mentre noi andiamo in giro a scovare i ricci.
-
D’accordo - fece Pino, abboccando con un pizzico di orgoglio e di
emozione.
La squadra partì, salendo per i prati alle spalle del
paese; Pino venne sistemato dietro una siepe, con l’incarico di non muoversi
e di suonare la campana…
- Resta lì, mi raccomando ché noi battiamo le siepi intorno; e, ogni tanto prova a chiamare il riccio.
-
Come si fa?
-
Di’: “riccio a sacco, riccio a sacco”!
La squadra, piano piano, se ne
ridiscese giù, alla chetichella, e andò a sedersi al bar per gustarsi il
concerto, e farsi una partita a briscola.
- Di chi sono le mule che pascolano quassù, diceva qualcuno sentendo il suono della campana; poi, dai nostri sorrisi complici, capiva che non si trattava di mule...
Ormai la briscola era finita ed era il momento della
consumazione.
-
Oh! È ora di richiamarlo ché gli offriamo da bere.
-
Pinoooo! Scendi giù, ché non è serata oggi!
Pino riapparve dall’oscurità, mogio
mogio; finalmente aveva capito dalle nostre sonore risate, che era stato
tutto uno scherzo, e ci bevve su, insieme a noi.
L’estate successiva, un’altra vittima dello scherzo, batté
il record dell’ingenuità, perché ci fu portato per due sere di seguito; la
prima sera non aveva capito che si trattava di uno scherzo.
Convinto che quella non era stata la
serata buona, tornò a casa, ancora tutto eccitato e raccontò la sfortunata
battuta di caccia al nonno, un vecchio nativo del paese, persona sveglia e
di spirito, nonostante la sua età avanzata. Questo, che aveva realizzato che
il nipote aveva tanto bisogno di svegliarsi, gli domandò:
-
Dove siete andati a cercare i ricci?
-
Nei prati vicino al paese.
-
Ma nooo! Lì non se ne trovano! Dovete andare più lontano, verso Follarano,
lì si che ce ne sono tanti.
La sera successiva lui si ripresentò,
con quelle maggiori informazioni avute direttamente dalla viva voce del
nonno, e, riunita la squadra, partì volontario per una seconda infruttifera
caccia.
Non avevamo tante cose, allora, ma trovavamo comunque il
modo di divertirci in modo sano e simpatico.
Gerardo Rosci
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