Gli estratti che seguono (inerenti il nostro territorio) sono stati
estrapolati dal testo G. Panza, Miti, leggende e superstizioni
dell’Abruzzo. Studi comparati – Vol.I e II, Sulmona, Ubaldo Caroselli
Editore, 1924 - 1927, ristampa anastatica a cura del Circolo Culturale
Accademia degli Arditi di Sulmona e con il contributo dell’associazione
Giovane Europa di Ascoli Piceno e del sig. Gianni Brandozzi (che ringrazio per
la copia dei due volumi che mi ha donato).
Grazie ai contenuti delle ricerche di Giovanni Panza riaffiorano alcuni
interessanti, inediti e spesso dimenticati aneddoti e racconti relativi al
passato e al vissuto del nostro territorio.
La lucerna della Madonna
In vicinanza di Petrella del Liri, nella Marsica, sul monte Arunzo, sopra una
roccia altissima si vede una scoltura simbolica, chiamata La juma de la
Matonna (la lucerna della Madonna). Rappresenta uno schema di corpo umano
femminile, con metà del profilo delle coscie e della colonna vertebrale. A
parte sinistra si scorge un altro segno simbolico, come fatto a scalpello, nel
quale i naturali del luogo ravvisano la figura d’una lucerna. La
leggenda locale intorno a questa scoltura rupestre dice che la Madonna passò
di notte sul monte Arunzo e vi riposò, mentre andava cercando il figliuolo
Gesù che si era allontanato da tre giorni per andare a conferire coi Profeti
(2).
Per l’inaccessibilità del luogo non mi è stato possibile fino ad oggi di
osservare questi due importanti petroglifi, se non nello schizzo favoritomi
dal sig. Blasetti. A titolo di semplice congettura si potrebbe ritenere che la
figura schematica di sinistra rappresentasse la donna ignuda, simbolo
dell’Asia Minore, che si rinviene anche nelle pareti delle grotte d’occidente.
Il segno verticale, ricurvo all’estremità, definito per una “lucerna”,
potrebbe rappresentare in questo caso, l’ascia immanicata, ovvero un segno
pediforme (immagine del pedum), altro simbolo che accompagna la donna
ignuda (1). (pagg. 149-149 Vol. I)
(2) Notizia comunicatami dal sig. Fabiano Blasetti di Petrella del Liri
(1) Déchelette, Manuel cit., I, 606 e seg. Intorno a
queste rappresentazioni schematiche femminili sulle roccie, che, secondo
alcuni, appartengono al periodo di transizione dall’età neolitica a quella del
bronzo, ved. Matéraux pour l’histoire primitive de l’homme,
an. 1888, pp. 12-15 –
Cartailhac, La France préhistorique d’après les sépultures et les
monuments, pag. 241-43 – De Baye, l’archéologie préhistorique, fig.
41.
Designazioni implicanti la qualità delle pietre
(Forma,
colore, grandezza, posizione, attività naturale, ecc.)
25.)
Pietra incatenata, grosso macigno sovrastante al villaggio di Pagliara,
fraz. di Castellafiume, al versante merid. del monte Girifalco. Circà la metà
di questo monte si osserva un masso superbo, della superficie di circa 10 m.
q., il quale appare all’occhio del visitatore come campato in aria. S’immagini
una grossa rupe fissa a metà del monte, sulla quale si distende, a guisa d’una
coltre, un’altra grossa pietra dello spessore di oltre un metro e mezzo e di
figura quasi rettangolare, da potersi ritenere scalpellata in tutte le parti
del suo spessore. La pietra inferiore che regge quella superiore, rettangolare
o squadrata, sembra quasi uscire dal paino di sotto a modo di una trave, la
quale rasentando la pietra superiore a circa la metà, sostiene il piano
superiore gettandosi fino a terra. Sul macigno soprastante è piantata una
croce, quasi a simbolo di cristianizzazione (1). Questo stupendo e curioso
gruppo monolitico ha il vero aspetto d’un dolmen e presso i naturali del luogo
è circondato da leggende intessute dei soliti racconti di diavoli, fate,
streghe. La sua struttura sembra artificiale, ma io non oserei ascriverlo alla
serie dei monumenti megalitici, ma a quella dei pseudo-megaliti, di
destinazione incerta, come i falsi dolmens di Mosny, presso la Roche (Lussembrurgo),
quello di Tiaret, in Algeria, la cui tavola superiore, formata da un masso
lungo m. 23, è scivolata sul declivio della montagna ed è venuta ad
appoggiarsi sopra due sostegni naturali. Cfr. anche la Pietra pendula
di Mompiatto, la Pietra nairola o noirola di Blevio.
Questi
pseudo-megaliti potrebbero, secondo alcuni, essere stati utilizzati in origine
come luoghi di ricovero o di sepoltura. Anche nel Belgio dei semplici lusus
naturae furono scambiati per monumenti megalitici. Questi gruppi bizzarri,
come le così dette pierres branlantes, ovvero roulers, secondo
una felice definizione del Desmoulins, “appartiennent à la géologie par leur
origine, à l’archéologie par leur usage”. Al nome di pietra incatenata
potrebbero fare riscontro quello di pierre soupése di una loc. della
Francia (Creuse) e quello di pierre clouée (Loiret). L’aggettivo
contiene un’allusione alla loro stabilità ed inoscillabilità. (pagg. 18-19-20
Vol. I)
(1) Intorno
ai mezzi di cristianizzazione dei megaliti, di cui si avvalse la Chiesa nel
Medioevo, e specialmente all’uso di piantarvi la croce, per mettere fine alle
pratiche superstiziose, ved. REINACH, 402.
Terminologia funeraria delle pietre
L’idea
dei tumuli neolitici e dei luoghi di sepoltura nella toponomastica e
nell’osservanza di alcuni riti
A Pagliara
dei Marsi, tenim. di Castellafiume, in località detta Carpini, è morto
violentemente un uomo. Tutti quelli che passano per quel luogo, se non
rivolgono una prece al morto, sentono arrivarsi addosso una scarica di pietre.
E’ il morto che reclama la sua naturale sepoltura sotto quelle pietre,
l’adempimento d’un rito non ancora compiuto. Vicino alla stessa borgata di
Pagliata, sotto la torre di Girifalco, vi è una fossa detta Currìo di
Giannandrea, ov’esiste una grotta che ha un eco portentosa. Il popolo dice
che attorno a quella fossa va girando l’anima d’un certo Giannandrea, il
quale per ricordarsi ai passanti, lascia cadere dei sassolini sulle loro
spalle.
Nel
tenimento di Petrella del Liri (Tagliacozzo), verso le montagne Faviglione
o Padiglione è costume, dove cadde fulminato un individuo, di
accatastarvi mucchi di pietre, ed ogni passante deve gettarne una. Ciò si
pratica per farlo uscire dal Purgatorio; e sul cumulo si applica alcune volte
una croce di legno. (pag. 63 Vol. I)
La
pietra fonte di leggende sui tesori
I monti,
gli antri e le caverne sedi del tesoro – L’idea del tesoro nella toponomastica
dell’Abruzzo – Le leggende sui tesori e le località intitolate dal diavolo.
Quella che
in Abruzzo si potrebbe chiamare la teoria volgare dei tesori, si riassume
così: “Quando si seppellisce un tesoro, vi si ammazza sopra una persona, e
l’anima dell’ucciso vagola lì attorno sino a che, sotto certe condizioni
imposte dal depositante, il tesoro non sia preso”. Perciò i tesori sono
custoditi sempre dal diavolo o da spiriti maligni e fantasmi dall’aspetto
orrido e spaventevole. Sulla montagna così detta Pianezze, di fronte al
monte Girifalco, presso Castellafiume, nella Marsica, si trova la Grotta
dello scapigliato. Dicono che vi è nascosto un gran tesoro, ma nessuno può
impadronirsene, perché vi è posto a guardia un fantasma nero, con i capelli
lunghi ed arruffati, detto perciò lo “Scapigliato”. (pag. 46 Vol I)
A Pagliara
de’ Marsi, presso Castellafiume (Avezzano) e in altri Comuni della Marsica si
crede che quando qualcuno ha trovato un tesoro di monete e non è degno
d’appropriarselo, il denaro miracolosamente è trasformato in carbone (2)
(pag. 289)
(2) Per
comunicazione del Cav. Fr. Di Marzio di Pagliara dei Marsi.
A
Corcumello (fraz. di Capistrello) si crede fermamente che i carboni che si
scavano sotto terra il 10 agosto, sieno quelli che servirono ad arrostire
S.Lorenzo (3) (pag. 284 Vol I)
(3) Notizia
favoritami dal sig. Fabiano Blasetti di Petrella del Liri.
La
Guerra Sociale nella tradizione e nella toponomastica
Passando al territorio marsicano, non è legittimo il sospetto che l’attuale
denominazione del paese di Tagliacozzo risulti dal conglomerato
Italia equitia?
L’ibrida
raffigurazione dello stemma di quel Comune, concepita nel guerriero che sta
nell’atto di “tagliare “ la clamide o mantello (cotium), è da relegarsi
tra le favole e i delirii del tramontato eruditismo classico. Tagliacozzo era
al confine che divideva i Marsi dagli Equi o Equicoli, e forse il nome che si
dà al protettore di quei luoghi, San Equizio, è di origine epicorica, come
quello di San Pelino derivato dalla regione peligna. Di San Equizio Abate
esistono memorie a Tagliacozzo. Il Febonio afferma che gli antichi abitatori
del monastero dei SS. Cosma e Damiano, presso Tagliacozzo, avendo un tempo
professata devozione a San Equizio Abate, denominarono quel sito Talia –
Equitium. Il Volaterrano scrisse Taliaquitium, e Taliequitium
più tardi Angelo della Noce nelle sue chiose al Cardinale Ostiense, per
rapporto appunto all’origine di Tagliacozzo dagli Equi. Talia o
Taglia, da integrarsi col prefisso I, corrisponde ad Italia.
Torre di Talia, Torre d’Italia o d’Itaglia è il nome d’una borgata
fra Alzano e Colle maggiore nel Cicolano, e forse sta a rappresentare la
regione degl’Itali o dei Vitali secondo le tradizioni invalse in
quei luoghi durante la rivolta contro Roma. Il nome di Tagliacozzo
corrisponderebbe dunque, in forza di quella tradizione, ad Italia Equitia.
(pag. 194-195 Vol. I)
La virtù
miracolosa e curativa delle pietre
L’Incubazione
In certi
paesi della Marsica, come Petrella del Liri, per guarire il male dei lombi,
basta semplicemente strofinarli sulla pancia d’una donna incinta (4). (Pag.
116 Vol I)
(4) Notizie
comunicatemi dal Sig. Fabiano Blasetti di Petrella del Liri.
Diavoli,
fate, Sibille, ecc.
I
personaggi storici.
15.)
Grotta Cenci, nelle vicinanze di Petrella sul Liri, nella Marsica. Il nome
è forse collegato al ricordo della celebre Beatrice. Secondo alcuni, il teatro
della tragedia dei Cenci sarebbe stato Petrella Salto, paese del Cicolano
(Aquila). Nella sentenza di condanna di Beatrice e de’ suoi complici si
accenna, infatti, ad una “Rocca di Castel Petrella” del Cicolano. Altri
storici, nel designare il luogo della tragedia, incorsero nell’errore di
descrivere quel luogo come prossimo ad una “Rocca della Petrella” degli
Abruzzi, sul confine dell’antico Stato Pontificio, e distinto col nome di
Cappadocia (1) (pagg. 97-98 Vol. I)
(1)
BERTOLOTTI A. Francesco Cenci e la sua famiglia. Firenze 1879. –
ADEMOLLO, Beatrice Cenci. Stor. Romana del sec. XVI – MANZI L. Il
teatro della tragedia dei Cenci nella valle abruzzese del Salto. Aquila,
Tip. Aternina, 1891, pag. 5 e seg.
Credenze
e superstizioni popolari collegate all’esistenza di riti funebri primitivi
A Pagliara,
Castellafiume, e in altri Comuni della Marsica vi è l’abitudine di lasciare
aperto l’uscio di casa, mentre il cadavere è esposto, perché le anime sante
entrino per accogliere l’anima del trapassato e si uniscano a questa. Usa
anche di mettere le calzette bianche ai morti, affinché Caronte li sbarchi
alla buona e non alla cattiva riva (1). In quasi tutti i paesi dell’Abruzzo è
generale poi l’usanza d’aprire le finestre subito dopo il decesso, perché
l’anima se ne possa andare indisturbata dalla casa. (pagg. 72-73 Vol. I)
(1) Notiz.
Comunicatemi dal Cav. Fr. Di Marzio, dimorante nei luoghi.
Denominazioni relative agli antichi culti fallici
Come
affermai in altro lavoro intorno alle sopravvivenze degli antichi riti e culti
fallici nell’Abruzzo, permangono in questa regione, negli usi e costumi
popolari e nelle denominazioni locali le traccie di quei culti, i quali
pervennero a noi, dal paganesimo declinante, attraverso le popolazioni rurali
dell’alto Medioevo.
L’osceno
attributo del “fallo”, simbolo religioso dei Pelasgi, torna a comparire nella
toponomastica locale, come attestano le seguenti denominazioni di contrade e
paesi:
2.)
Monte Fallo, uno dei monti ad ostro della Valle di Nerfa, verso
Valleroveto.
6.)
Fallarano, contrada fra i tenimenti di Petrella del Liri e Verecchia, due
fraz. di Cappadocia, vicino al ponte Ovido. (pagg. 33-34 Vol I)
L’elemento carolingio nella toponomastica abruzzese
3.)
Peschio d’Orlando chiamasi una grotta situata sotto il monte Arunzo,
nelle vicinanze di Petrella Liri, nella Marsica. Un poco più sotto a quella
grotta, in direzione di Pagliara, nel locale S. Pietro e proprio nei pressi
del fontanile detto “Fonte della Nina”, si scorge un macigno con una enorme
fenditura. I naturali dicono che Orlando capitano, scommettendo in bravura coi
suoi soldati, vibrò un colpo di durlindana su quel macigno e lo tagliò (1).
(Pag. 295 Vol II)
(1) Per
comunicazione del compianto prof. Fabiano Blasetti di Petrella sul Liri.
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